Recensione: “Quel che affidiamo al vento” di Laura Imai Messina

Recensione: “Quel che affidiamo al vento” di Laura Imai Messina

Quel che affidiamo al vento

Autore: Laura Imai Messina
Genere: Narrati italiana contemporanea
Editore: Piemme
Data di uscita: 14/01/2020
Formato: Cartaceo
Anno pubblicazione: 2020

Acquista: Libro Ebook

Trama

Sul fianco scosceso di Kujira-yama, la Montagna della Balena, si spalanca un immenso giardino chiamato Bell Gardia. In mezzo è installata una cabina, al cui interno riposa un telefono non collegato, che trasporta le voci nel vento. Da tutto il Giappone vi convogliano ogni anno migliaia di persone che hanno perduto qualcuno, che alzano la cornetta per parlare con chi è nell’aldilà. Quando su quella zona si abbatte un uragano di immane violenza, da lontano accorre una donna, pronta a proteggere il giardino a costo della sua vita. Si chiama Yui, ha trent’anni e una data separa quella che era da quella che è: 11 marzo 2011. Quel giorno lo tsunami spazzò via il paese in cui abitava, inghiottì la madre e la figlia, le sottrasse la gioia di essere al mondo. Venuta per caso a conoscenza di quel luogo surreale, Yui va a visitarlo e a Bell Gardia incontra Takeshi, un medico che vive a Tokyo e ha una bimba di quattro anni, muta dal giorno in cui è morta la madre. Per rimarginare la vita serve coraggio, fortuna e un luogo comune in cui dipanare il racconto prudente di sé. E ora che quel luogo prezioso rischia di esserle portato via dall’uragano, Yui decide di affrontare il vento, quello che scuote la terra così come quello che solleva le voci di chi non c’è più. E poi? E poi Yui lo avrebbe presto scoperto. Che è un vero miracolo l’amore. Anche il secondo, anche quello che arriva per sbaglio. Perché quando nessuno si attende il miracolo, il miracolo avviene.

Ciao a tutti miei cari amici lettori, oggi vi parlo di questa nuova lettura che ho finito da poco. Avrei molte cose da dire su questo libro, ma nella paura di confondermi troppo e non centrare il punto voglio procedere per gradi.

Prima di tutto vorrei dire che la scoperta di questa lettura è arrivata un po’ per caso, navigando sui vari social mi è comparsa sotto gli occhi e mi ha colpito subito. Ammetto di essere stata colpita inizialmente dalla copertina (come poteva essere altrimenti del resto! Non si può certo negare che sia effettivamente molto bella). Incuriosita sono andata a leggere la trama e ovviamente mi ha ispirato subito, in fondo è ambientata in Giappone e data la mia passione non potevo certo farmi sfuggire questo libro, no? Beh devo ammettere di aver aspettato prima di comprarlo, soprattutto perché avevo ancora altri libri da leggere, così nel frattempo ho scoperto l’autrice grazie ai suoi social su cui è molto attiva e leggendo i post della sua vita quotidiana in Giappone ho capito subito dal suo modo di scrivere che i suoi libri mi sarebbero piaciuti e così senza pensarci due volte oltre questo ho comprato anche tutti gli altri.

Quel che affidiamo al vento è il suo penultimo libro uscito nel 2020 e ho deciso di partire proprio da questo perché in fondo è grazie a questo libro che ho scoperto l’autrice e le altre sue opere.

La lettura mi ha coinvolto immediatamente per molti motivi diversi. Primo per le tematiche: Laura Imai Messina ci catapulta dentro alle vite di personaggi distrutti dal dolore per la perdita di persone care a causa dello tsunami del 2011 e allo stesso tempo ci parla della loro resilienza e del loro rialzarsi da questo dolore, il tutto grazie anche ad un telefono immerso in un giardino nel nord – est del Giappone. Un apparecchio non collegato a nulla che serve per parlare con i defunti e a cui affidare i propri pensieri che poi si disperdono nel vento.

La storia di questo particolare telefono è stato un altro elemento che mi ha fatto amare questo libro. L’autrice infatti prende spunto da un telefono e un luogo che esistono veramente e attraverso le sue parole ce lo fa conoscere. E devo ammettere che in questo è veramente eccezionale: riesce a raccontare il luogo in modo meraviglioso. Si nota subito lo studio che c’è dietro alla creazione di questo romanzo e l’amore per il paese che è diventato ormai la sua casa, traspare ad ogni singola parola.

È stato un modo per andare in Giappone anche senza essere lì veramente. Ha trasportato cuore e mente del lettore non solo in un paese, ma in un luogo poco conosciuto: il giardino di Bell Gardia. Oltretutto è riuscita a far percepire la devastazione che una tempesta può provocare, tempesta sia reale che emotiva che arriva e scombina in modo irreparabile la vita delle persone. Mi viene in mente la frase di Murakami nel libro Kafka sulla spiaggia:

“Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.”

Ed è proprio quello che succede ai personaggi della Messina, entrano nella tempesta o più precisamente ci vengono catapultati – in fondo uno tsunami non lo si può prevedere – e ne escono completamente diversi. Affrontano ognuno a modo loro il dolore e si rialzano nonostante tutto.

Questo libro, però, non lo si vive solo nel contenuto, ma anche nella forma. È qui che l’autrice gioca molto e ci stupisce. Il suo linguaggio è poesia. Le immagini si animano grazie alla scelta meticolosa delle parole, le figure che usa per descrivere una sensazione o un luogo rendono le immagini palpabili tangibili e a volte sfuggenti. Sì, sfuggenti come nelle poesie e allora c’è bisogno di soffermarsi e rileggerle quelle frasi per entrarci dentro, che seppur il libro scorre velocemente ha bisogno che il lettore si soffermi per gustarsi ogni singola sfumatura.

In conclusione posso affermare che è stata una lettura che mi ha colpito molto e che assolutamente consiglio!

La vita bisogna amarla Takeshi, delle persone serve imparare a fidarsi. Non fargliele odiare, non c’è via di scampo all’odio.
– Quel che affidiamo al vento –

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Recensione: “Finché il caffè è caldo” di Toshikazu Kawaguchi

Recensione: “Finché il caffè è caldo” di Toshikazu Kawaguchi

Finché il caffè è caldo

Autore: Toshikazu Kawaguchi
Genere: Narrativa contemporanea straniera
Editore: Garzanti
Data di uscita: 12/03/2020
Formato: Cartaceo
Anno pubblicazione: 2015

Acquista: Libro Ebook

Trama

ECCO LE 5 REGOLE DA SEGUIRE:
1. Sei in una caffetteria speciale. C’è un unico tavolino e aspetta solo te.
2. Siediti e attendi che il caffè ti venga servito.
3. Tieniti pronto a rivivere un momento importante della tua vita.
4. Mentre lo fai ricordati di gustare il caffè a piccoli sorsi.
5. Non dimenticarti la regola fondamentale: non lasciare per alcuna ragione che il caffè si raffreddi.

In Giappone c’è una caffetteria speciale. È aperta da più di cento anni e, su di essa, circolano mille leggende. Si narra che dopo esserci entrati non si sia più gli stessi. Si narra che bevendo il caffè sia possibile rivivere il momento della propria vita in cui si è fatta la scelta sbagliata, si è detta l’unica parola che era meglio non pronunciare, si è lasciata andare via la persona che non bisognava perdere. Si narra che con un semplice gesto tutto possa cambiare. Ma c’è una regola da rispettare, una regola fondamentale: bisogna assolutamente finire il caffè prima che si sia raffreddato. Non tutti hanno il coraggio di entrare nella caffetteria, ma qualcuno decide di sfidare il destino e scoprire che cosa può accadere. Qualcuno si siede su una sedia con davanti una tazza fumante. Fumiko, che non è riuscita a trattenere accanto a sé il ragazzo che amava. Kotake, che insieme ai ricordi di suo marito crede di aver perso anche sé stessa. Hirai, che non è mai stata sincera fino in fondo con la sorella. Infine Kei, che cerca di raccogliere tutta la forza che ha dentro per essere una buona madre. Ognuna di loro ha un rimpianto. Ognuna di loro sente riaffiorare un ricordo doloroso. Ma tutti scoprono che il passato non è importante, perché non si può cambiare. Quello che conta è il presente che abbiamo tra le mani. Quando si può ancora decidere ogni cosa e farla nel modo giusto. La vita, come il caffè, va gustata sorso dopo sorso, cogliendone ogni attimo.
Finché il caffè è caldo è diventato un caso editoriale in Giappone, dove ha venduto oltre un milione di copie. Poi ha conquistato tutto il mondo e le classifiche europee a pochi giorni dall’uscita. Un romanzo pieno di fascino e mistero sulle occasioni perdute e sull’importanza di quelle ancora da vivere.

Eccomi finalmente qua a parlarvi di questa lettura e darvi le mie impressioni. Ho acquistato questo libro uscito l’anno scorso perché mi aveva colpito subito. Generalmente prima di acquistare un libro così pubblicizzato e acclamato aspetto sempre un po’, per paura che tutto il fervore dietro il libro mi conduca sulla strada sbagliata e che mi porti alla fine ad acquistare un libro che poi mi delude.

In questo caso non è proprio andata così, non si può parlare di delusione perché di per sé il libro mi è piaciuto, ma ammetto che forse le mie aspettative erano un po’ alte e diciamo che mi sono dovuta ridimensionare.

La lettura è abbastanza piacevole e con lo stratagemma del bar dove è possibile tornare indietro nel tempo – “l’importante è finire il caffè prima che si raffreddi” – l’autore riesce a raccontarci le storie dei personaggi. Questo stratagemma narrativo mi è piaciuto perché adoro leggere storie dentro la storia.

La scrittura, poi, risulta fluida e scorrevole e si riscontra quel narrare la malinconia nel modo in cui solo i giapponesi sanno fare. Rendendola lieve soffusa, un modo sicuramente diverso da quello occidentale.

Detto ciò ammetto, però, che per alcuni aspetti l’ho trovato un po’ scontato. Carino e piacevole sì, ma che in realtà non mi ha convinto del tutto. È come se qualcosa nella storia fosse venuta a mancare. Di preciso non saprei dire cosa e probabilmente dipende dal fatto che il libro fa parte di una serie (il secondo volume è uscito da poco) e solo continuando la lettura forse quel senso di mancanza verrà colmato.

Per il momento mi riservo il diritto di cambiare opinione e sicuramente ne consiglio comunque la lettura perché nel complesso è un libro carino e piacevole con cui passare il tempo e a tratti anche commovente.

Kazu è ancora convinta che, se vuole, la gente troverà sempre la forza di superare tutte le difficoltà che si presenteranno. Serve solo cuore.
– Finché il caffè è caldo –

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Recensione: “La decomposizione dell’angelo” di Yukio Mishima

Recensione: “La decomposizione dell’angelo” di Yukio Mishima

  • Titolo: La decomposizione dell’angelo
  • Autore: Yukio Mishima
  • Genere: Narrativa straniera moderna e contemporanea
  • Editore: Feltrinelli
  • Formato: Cartaceo/ebook
  • Anno pubblicazione: 1970

Trama

“Se la causa della decadenza è la malattia, allora la causa fondamentale di essa, la carne, è una malattia. L’essenza della carne è la decadenza. La funzione della carne, collocata nel trascorrere del tempo, è quella di testimoniare la distruzione e la decadenza.” Honda Shigekuni, indimenticabile protagonista della tetralogia “Il mare della fertilità” che trova compimento in questo romanzo, giudice ormai in pensione, adotta con grande slancio l’orfano Toru. In lui vede l’ennesima reincarnazione del suo amato e perduto compagno di scuola Kiyoaki. Ma si tratta dell’inseguimento di qualcosa di impossibile da raggiungere… Un grande romanzo sul dolore e sul disfacimento di ogni illusione, completato da Mishima il giorno stesso in cui commise seppuku. (Feltrinelli editore)

“La decomposizione dell’angelo” è l’ultimo libro della tetralogia “Il mare della fertilità” di Yukio Mishima.

Di questa serie di libri – a parte il terzo volume che ho trovato sotto aspetti un po’ noioso e ho veramente fatto molta fatica a finirlo – mi sono piaciuti tutti.

La scrittura di Mishima non è certo delle più facili con cui approcciarsi e non perché sia un autore giapponese con una cultura molto diversa da quella occidentale, ma proprio per il modo in cui scrive: molto spesso la sua scrittura è un po’ “ampollosa”, le frasi non sono sempre e subito di facile approccio soprattutto perché molto didascaliche, volte a spiegare un determinato argomento e questo può rallentare la lettura e a volte far perdere il filo del discorso.

Ciononostante se si riesce a superare questo ostacolo i suoi romanzi risultano dei veri capolavori. Con il senno di poi, comunque, posso dire che il primo approccio con questo autore sarebbe stato forse più soft se avessi iniziato con uno dei suoi romanzi autoconclusivi (come ho fatto per Murakami) e non con questa tetralogia sicuramente molto più impegnativa da leggere. Nonostante tutto non me ne pento, perché mi è piaciuta veramente molto, specialmente il primo libro e soprattutto quest’ultimo.

“La decomposizione dell’angelo” è un romanzo intenso dove aleggia il concetto di morte, di decadenza e del tempo che passa inesorabile.

È il preludio a quello che capiterà dopo: l’autore, infatti, manderà alle stampe questa sua ultima opera la mattina stessa in cui compirà il suo suicidio tramite seppuku (切腹) – conosciuto anche come harakiri (腹切り), il suicidio rituale dei samurai.

In questo libro l’arte compenetra quindi la vita stessa, quasi a volerne dare un’anticipazione. Ed in fondo nelle opere di Mishima è proprio così; tutte strettamente legate all’immagine pubblica dell’artista. In questa serie di romanzi, infatti, troviamo tutti i concetti cardini della sua esistenza: il nichilismo imperante che diventa assoluto in questo suo ultimo romanzo tramite il personaggio di Toru, l’eros e per ultima ma non ultima la morte. Morte come affermazione di sé, come qualcosa di più del semplice scomparire dal mondo.

Mishima è sicuramente una figura tragica del panorama letterario giapponese come lo sono i personaggi delle sue opere. Ed è per questa sua forza espressiva che nonostante la difficoltà nella lettura a causa del suo linguaggio complesso ho apprezzato veramente tanto il romanzo.

Il finale, poi, mi ha lasciata completamente a bocca aperta. Sono stata colta di sorpresa in modo anche un po’ inquietante. Eh sì… alla fine mi ha lasciato una certa inquietudine eppure l’ho adorato.

In conclusione consiglio Mishima, è un autore che merita di essere letto e le sue opere vanno sapute assaporare è per questo che ho inserito in lista altri suoi romanzi e di sicuro consiglio questa tetralogia che ho appena concluso.

E anche per oggi è tutto! Alla prossima e buone letture a tutti 📚

#staytuned!

Con quale vuota coscienza, attimo dopo attimo, secondo dopo secondo, gli uomini scivolano in un tempo che non tornerà più. Solo con l’età ci si rende conto che in ogni goccia di esso vi era una tale ricchezza, una tale ebbrezza. Gocce di un tempo meraviglioso, come gocce di vino pregiato.
– La decomposizione dell’angelo –

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Recensione: “La ragazza del convenience store” di Murata Sayaka

Recensione: “La ragazza del convenience store” di Murata Sayaka

La ragazza del convenience store è una storia che con leggerezza affronta il tema delle pressioni sociali.

Keiko, la protagonista è considerata una persona strana già da bambina, con il suo modo di essere non riesce ad integrarsi negli schemi della società e così lentamente inizia ad allontanarsi da tutto, fino a che a diciotto anni non risponde ad un annuncio di lavoro in un konbini. Finalmente dopo tanto tempo si sente rinata, nel konbini inizia a sentirsi parte della società dei “normali”, ma anche questo è destinato a non durare.

Diciotto anni dopo è ancora in quel konbini, con un lavoro part-time a tempo determinato e senza essersi ancora sposata. È tornata di nuovo ad essere quella strana, la voce fuori dal coro tra le sue conoscenze, fino a che non incontra Shiraha: un ragazzo trentacinquenne anche lui emarginato sociale, in cerca di una moglie per essere lasciato in pace finalmente dalla società e fissato con l’epoca preistorica. L’incontro tra i due potrebbe essere il modo per entrare nel mondo dei “normali” creandosi una famiglia e così Keiko si ritrova tra due scelte: seguire le regole o rimanere la perfetta commessa del konbini.

È un romanzo breve dalla scrittura brillante e scorrevole che mi è piaciuto davvero molto. La storia di Keiko, seppur portata alle estreme conseguenze mette in luce la crisi della società, dove chi è diverso, fuori dall’ordinario viene emarginato. Chi non segue le regole non riuscendo a conformarsi rimane escluso dalla cerchia dei “normali”.

Mi chiedo, però, se questa cerchia dei “normali” esista davvero, in fondo ognuno di noi ha la sua anormalità e non riesce a conformarsi del tutto alle regole precise della società. In fasi diverse della nostra vita e chi più chi meno ci sentiamo tutti un po’ degli outsider in questa vita, in questa società e rispetto alle persone che abbiamo intorno.

In una società come la nostra un po’ meno rigida rispetto a quella Giapponese, forse a volte lo avvertiamo meno, ma nemmeno noi siamo esentati dalle pressioni sociali.

È un libro che mi ha davvero colpito perché un po’ nella tematica che affronta mi ci sono ritrovata è per questo e anche per scoprire come alla fine la nostra protagonista affronterà la situazione che ne consiglio la lettura a tutti voi lettori!

Alla prossima! Buona lettura 😍!

“Gli altri non si fanno scrupoli e perdono ogni freno davanti tutto ciò che esce fuori dall’ordinario, pretendono spiegazioni e sono convinti di avere il diritto di sapere tutto.”

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Recensione: “Un litro di lacrime” di Kito Aya

Recensione: “Un litro di lacrime” di Kito Aya

Scheda tecnica

Un litro di lacrime

Autore: Kito Aya
Genere: Narrativa straniera
Editore: Rizzoli
Edizione: 09/02/2021
Formato: Cartaceo
Anno pubblicazione: 1986
Pagine: 190

Acquista: Libro   | Ebook   

Trama

Nel vasto mondo asiatico, il diario di Kito Aya ha conosciuto un successo inarrestabile: pubblicato sul finire degli anni Ottanta in Giappone, ha venduto oltre un milione di copie. Una platea affollata per il racconto in prima persona di una ragazzina quindicenne che ha ispirato e incantato un intero continente. Aya racconta dieci anni della propria vita, racconta l’adolescenza e l’inizio dell’età adulta, una vita come tante, ma senza prospettiva, un’esistenza minata dalla malattia, ecco la differenza. Ed è racchiusa qui la potenza di queste pagine: nella ribellione, nell’ironia, nella fragilità che si trasforma in forza, che fanno di Aya un simbolo, una figura di culto. Perché, al di là della sua particolare condizione, è riuscita a gridare con voce limpida cosa vuol dire diventare grandi, e a contare quante lacrime servono per affrontare le sconfitte.

A volte si incontrano quei libri che ti arrivano dritti al cuore come nel caso di “Un litro di lacrime” di Kito Aya ed è per questo motivo che sono estremamente felice che sia il primo libro che recensisco per il mio blog appena nato.

Il libro è il diario di Aya nel quale la ragazza racconta la sua lotta contro una malattia degenerativa che nel giro di pochissimi anni le toglierà qualsiasi facoltà motoria. La malattia inizia al suo quattordicesimo anno di età e si presenta con sintomi lievi all’inizio che si acuiranno con il passare degli anni. La ragazza racconta del disagio provocato dalla malattia che la porterà nel secondo anno di liceo a cambiare scuola e trasferirsi in una per disabili, dove la sua condizione avrebbe generato meno disagi soprattutto alle persone intorno a lei.

Sebbene tratti un tema di così enorme sofferenza, la storia è un inno alla vita. Aya vuole vivere e questo sentimento risuona per tutto l’arco della narrazione. Le parole della ragazza incoraggiano lo stesso lettore che percepisce tutta la forza di questa ragazzina che nonostante le difficoltà che le sono capitate in vita decide di non darsi per vinta. La forza di questa ragazza traspare soprattutto nella sua umanità: come chiunque ha momenti di cedimento e depressione per la sorte che le è toccata, ma decidendo di non arrendersi alla malattia fa da monito a tutti. Fino alla fine lotta con determinazione e nonostante tutto continua a sperare per il futuro, un messaggio importante quello che ci lascia.

È un libro che mi ha toccato profondamente soprattutto perché mi ha regalato una visione più ampia della vita. Siamo sempre troppo presi dai nostri problemi che ci viene istintivo a volte darsi per vinti e cadere in depressione, chiedendoci come mai dobbiamo sopportare tanta afflizione. Domanda che si pone anche la stessa Aya nei suoi momenti di cedimento con l’unica differenza che lei in qualche modo riesce sempre a reagire e soprattutto cerca di sorridere sempre anche quando diventa assolutamente difficile farlo. Un altro grande dilemma che emerge dalle riflessioni della “piccola Aya” è quello di chiedersi quale sia il suo scopo nella vita oltre ad essere un peso per la sua famiglia e per chi le sta intorno. Io penso che lo scopo di questa ragazza, il suo lascito sia stato proprio questo: la resilienza che ha dimostrato nell’affrontare la sua condizione e che diventa di esempio per tutti coloro che sono venuti a contatto con la sua storia.

Un libro dalle tematiche forti, ma raccontato con la spontaneità di una giovane ragazza. Sicuramente una storia che consiglio! 😉

“Che problema c’è a cadere? Puoi sempre rialzarti. Quando cadi solleva gli occhi al cielo. Anche oggi si stende sopra di te, azzurro e sconfinato.”
-Kito Aya-

L’autrice: Kito Aya

Nata nel 1962, Aya Kito è stata una diarista giapponese. Il suo diario, Un litro di lacrime (2019, Rizzoli), è stato pubblicato postumo, dando vita a un film e a una serie tv. Aya Kito è scomparsa prematuramente nel 1988.

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