Recensione: “Il segreto della fotografa francese” di Natasha Lester

Recensione: “Il segreto della fotografa francese” di Natasha Lester

  • Titolo: Il segreto della fotografa francese      
  • Autore: Natasha Lester
  • Genere: Narrativa storica
  • Editore: Newton Compton Editore
  • Formato: Cartaceo, e-book
  • Anno pubblicazione: 2019

Trama

“1942. Quando la sua brillante carriera nel mondo della moda viene interrotta a causa di un imprevisto, Jessica May viene inviata in Europa come fotoreporter dalla rivista «Vogue». Lascia così Manhattan e arriva a Parigi nel pieno della seconda guerra mondiale. I pregiudizi maschili al fronte sembrano un ostacolo insormontabile per Jess, ma saranno tre amicizie inaspettate a cambiare per sempre il suo destino: la giornalista Martha Gellhorn saprà incoraggiarla a sfidare le regole, il paracadutista Dan Hallworth la porterà nei luoghi simbolo della guerra, che lei immortalerà in scatti memorabili, e una bambina francese cresciuta in un ospedale da campo, Victorine, le insegnerà il vero significato dell’amore. Ma il successo ha sempre un prezzo. 2005. La curatrice australiana D’Arcy Hallworth è appena arrivata in un castello francese per occuparsi di una famosa collezione di fotografie. Ma quello che doveva essere un semplice lavoro si rivelerà l’inizio di un viaggio nel passato, destinato a portare alla luce segreti su sua madre, Victorine.” (Newton Compton Editore)

Il libro di cui vi parlo oggi è un romanzo a sfondo storico che ho veramente apprezzato. Ho trovato questo libro qualche mese fa tra le offerte del Kobo store e la trama mi ha colpita subito, per cui ho deciso di acquistarlo. Non sono riuscita a leggerlo immediatamente perché avevo altri libri che dovevo ancora finire, ma devo dire che ne è valsa la pena attendere.

Il libro è veramente bello e si legge tutto d’un fiato. Il linguaggio è decisamente molto scorrevole e dinamico: predilige una narrazione che procede per descrizioni di eventi ed azioni. I personaggi sono tutti ben caratterizzati e anche le ambientazioni sono strutturate in modo eccellente.

Quello che, però, mi ha colpito di più di questo libro è stato il contenuto. La storia in sé e per sé. Nel romanzo troviamo ovviamente l’ambientazione storica, ma l’autrice riesce a coniugare bene anche una certa dose di romance che non guasta mai. Le vicissitudini sentimentali dei personaggi, i loro drammi e anche le tragedie che sono costretti ad affrontare ce li fanno sentire più vicini e il lettore è coinvolto per questo nella lettura.

Altro elemento che ho veramente apprezzato è che questa storia oltre ad essere un romanzo storico è anche una specie di denuncia sociale per il ruolo che la donna ha avuto durante la guerra, scenario a quei tempi prettamente maschile.

La stessa protagonista Jessica May, personaggio ispirato alla modella e fotoreporter di guerra Lee Miller ne è un esempio. Grazie a lei ci si rende conto quanto fosse difficile per una donna essere inviata di guerra a quei tempi. La fatica che dovevano fare per farsi largo in un mondo di uomini.

Ma la storia non denuncia solo questo, ma da voce anche a tutte quelle donne che durante la guerra si sono trovate costrette a fare il lavoro degli uomini impegnati al fronte e che una volta tornati si sono ripresi quei lavori rispedendo le loro mogli a casa dietro ai fornelli. Da voce a quelle donne che nei luoghi in cui sono avvenuti gli scontri sono state vittime di stupri da parte dei soldati, tanto da parte dei vincitori che dei vinti.

E sono tutti questi temi che scorrono pagina dopo pagina grazie ad un brillante lavoro di scrittura che mi hanno fatto apprezzare questa storia e che mi hanno davvero commosso.

Grazie a questo libro ho potuto conoscere la figura straordinaria di Lee Miller, che fino ad ora non conoscevo e le sue foto che per curiosità sono andata a ricercare su internet.

Ovviamente l’autrice non ha scritto una biografia della Miller, ma grazie al personaggio di Jessica ce la fa conoscere almeno un po’, come ci fa conoscere a tratti le storie di tante altre inviate di guerra che vengono proprio citate nel libro, come Martha Gellhorn, Lee Carson, Iris Carpenter.

In conclusione posso dire che è una lettura che sicuramente mi sento di consigliare!

E anche per oggi è tutto! Alla prossima…

#staytuned!

Fece roteare la Leica sulla schiena e sollevò la Rollei.
“Guarda attraverso l’obiettivo” si disse.
Una macchina fotografica ridimensiona le cose, ed era un bene che quel caos venisse in qualche modo ridotto.
– Il segreto della fotografa francese –

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Recensione: “Hiroi Kata” di Tarek Komin

Recensione: “Hiroi Kata” di Tarek Komin

  • Titolo: Hiroi Kata
  • Autore: Tarek Komin
  • Genere: Narrativa contemporanea
  • Editore: Bertoni
  • Formato: Cartaceo, e-book
  • Anno pubblicazione: 2017

Trama

Nel 1984 Ethan, un uomo di quarant’anni, si risveglia dopo un naufragio sull’isola di Hiroi Kata, lembo di terra dimenticato nel Pacifico. Sembra il capolinea di una sua deriva personale di cui scopriamo i primi ricordi: un padre spesso assente, la morte della madre dopo la nascita di suo fratello Kenneth e il fondamentale incontro con la giovane Mathilda. I due fratelli e la ragazza sviluppano fin dall’inizio un legame speciale e tra lei e Kenneth nasce l’amore. Ma la dura esperienza del Vietnam trasforma il fratello minore che torna a casa muto, cinico ed incredibilmente freddo. Trascura Mathilda, divenuta sua moglie, per dedicarsi al lavoro di controspionaggio in cui coinvolgerà lo stesso Ethan. Nel 1974 il rapporto tra i due si interrompe in modo traumatico ed ha inizio una reazione a catena che trascinerà i due fratelli ed altre quattro specializzate spie in una missione nelle Filippine per individuare chi della loro squadra si sia venduto ai sovietici. Ma il naufragio su Hiroi Kata è un imprevisto incalcolabile e ancor più imprevedibile il fatto che quelle desolate sponde non siano disabitate. Proprio quando il gelo e la diffidenza tipici della Guerra Fredda sembrano insinuarsi nella vita dei protagonisti in modo più pressante, l’improvviso approdo sull’isola incrinerà le loro certezze definitivamente. Combattere solitarie battaglie con i ricordi e personali fantasmi, fronteggiare amari tradimenti e l’incapacità reciproca di perdonare dettano ritmo all’avvincente narrazione. Passato e presente si tessono a vicenda sull’isola di Hiroi Kata, dove ognuno cerca le proprie risposte ai tasselli di un mosaico che gioca beffardo con la memoria e la curiosità del lettore, in una corsa a perdifiato, pagina dopo pagina, fino all’esaltante, stravolgente epilogo. (Bertoni editore)

Buona sera readers! Eccomi di nuovo qui con la recensione della mia ultima lettura. La recensione di oggi fa parte della mia rubrica dedicata ai libri della Bertoni editore e come protagonista vi porto il romanzo “Hiroi Kata” di Tarek Komin.

Anche questa volta mi sono avvalsa per la trama direttamente di quella ripresa dal libro, invece di descrivervi a parole mie di cosa parla questa storia, ma con la differenza che stavolta l’ho fatto perché penso che non avrei potuto trovare parole migliori per descrivervi il romanzo.

Pertanto veniamo direttamente a noi e alle mie impressioni su questo libro, che come avrete già intuito mi è piaciuto davvero tantissimo.

Hiroi Kata non è solo un’isola, ma è una metafora: metafora dell’esistenza dei due personaggi che vi sono naufragati. In quest’isola c’è sofferenza, quella derivata dalla guerra che ti corrode l’anima, quella derivata dalle colpe del passato che genera rimpianti e c’è la solitudine generata dal senso di abbandono.

Hiroi Kata, però, non è solo questo: quest’isola che si trova nel mar delle filippine dove s’incontrano per la prima volta nel 1984 un vecchio giapponese e un giovane uomo americano porta con sé la sublimazione di tutti questi sentimenti e sensazioni, fino ad arrivare a quella che è la conclusione di tutto: il perdono.

Un romanzo intenso, carico, scritto da una penna brillante: quella di Tarek Komin, che ha creato una storia dalle ambientazioni e dai personaggi vividi grazie ad un linguaggio metaforicamente suggestivo anche nei suoi aspetti più crudi.

È una storia che fa riflettere, emoziona e allo stesso tempo tiene incollato il lettore grazie ai colpi di scena, mai scontati o banali.

Lettura che decisamente consiglio…

E voi che ne pensate? Vi ispira come lettura?

Anche per oggi è tutto! Alla prossima…😘

“La memoria è uno specchio oneroso ed esigente”

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Recensione: “Fuoco Pallido” di Vladimir Nabokov

Recensione: “Fuoco Pallido” di Vladimir Nabokov

  • Titolo: Fuoco Pallido
  • Autore: Vladimir Nabokov
  • Genere: Letteratura sperimentale
  • Editore: Adelphi
  • Formato: Cartaceo e ebook
  • Anno pubblicazione: 1962

Trama

Il romanzo, opera alquanto particolare di Nabokov è composto da due parti: in una troviamo un poema di 999 versi, scritto da John Shade stimato professore del Wordsmith College collocato in una fittizia cittadina americana, in cui parla del suicidio di sua figlia e si pone domande metafisiche sulla morte. Dall’altra invece siamo di fronte al commento del poema, elaborato dall’eccentrico Charles Kinbote che tenta di convincere il lettore con le sue egocentriche note, che il vero tema dell’opera di Shade sia ispirato in realtà alle avventure di un giovane esule del regno di Zembla.

Buon pomeriggio miei cari lettori, questa settimana sono un po’ in anticipo sui tempi con la recensione, ma in realtà questa di cui vi parlo oggi è una lettura che ho fatto qualche anno fa. Attualmente sto leggendo “Ada o Ardore” sempre di Nabokov, ma sono ancora all’inizio ciononostante ho pensato: perché nel frattempo non parlarvi della mia opera preferita di questo autore?

Nulla togliendo a “Lolita”, considerato il suo capolavoro, io trovo che “Fuoco Pallido” sia il suo miglior lavoro, perlomeno tra tutte le sue opere che ho letto finora.

In verità non si può proprio parlare di romanzo, perché come già citato nella trama esso è diviso in due parti: un poema e il suo commento, scritti da due diversi autori. Si può dire che la parte del commento sia il romanzo vero proprio. Le note al poema scritte dall’egocentrico Kinbote raccontano una vicenda che nulla ha a che fare con la tematica trattata nel poema. Sta qui, secondo me, la spettacolarità di quest’opera; frutto dello sperimentalismo di un autore del calibro di Nabokov.

Il commento diventa una sorta di “romanzo fantasma”, dove si narrano le vicende un giovane di alto lignaggio che è costretto a fuggire da Zembla, il regno nel quale abita. E in questo gioco di parodie lentamente iniziamo a conoscere anche il personaggio di Kinbote, che si considera amico del sessantenne professor Shade ed è convinto che questo loro rapporto di amicizia non sia ben visto; si basa tutto su un gioco di rispecchiamenti, in cui vi è riflessa anche la figura dello stesso autore.

Nell’opera, inoltre, soggiacciono altre tematiche come quello della perdita e della mancanza, tematiche che s’intersecano tra loro in un confronto tra poema e commento.

Ho incontrato quest’opera di Nabokov anzi dovrei dire che ho incontrato proprio Nabokov, come autore, durante i miei anni universitari. La prima opera che lessi di lui per un esame era un romanzo breve: “Cose trasparenti” e già da lì capii che era amore a prima vista, ma non sapevo ancora quanto avrei adorato questo autore prima di leggere “Fuoco Pallido”.

In questo suo lavoro – che ha avuto un’elaborazione molto lunga: circa 20 anni – condensa in modo estremamente brillante due narrazioni contrapposte senza che l’una entri in alcun modo in contrasto con l’altra.  

Di sicuro per gli appassionati di Nabokov e non solo, è un’opera che consiglio assolutamente di leggere!

E anche per oggi miei cari lettori è tutto…

Alla prossima, sempre in compagnia di Nabokov 😘

“La vita è una grande sorpresa. Non vedo perché la morte non potrebbe esserne una anche più grande.”

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Recensione: “Lo ammetto ho tentato di essere felice” di Gianluca Brundo

Recensione: “Lo ammetto ho tentato di essere felice” di Gianluca Brundo

  • Titolo: Lo ammetto ho tentato di essere felice
  • Autore: Gianluca Brundo
  • Genere: Narrativa moderna e contemporanea
  • Editore: Bertoni
  • Formato: Cartaceo e ebook
  • Anno pubblicazione: 2019

Trama

Il libro è una sorta di “taccuino del vivere” dell’autore dove egli riversa tutte le sue esperienze e le scelte che ha compiuto e che sono tutte legate da un unico filo conduttore: tentare di essere felice. Questa sua opera la dedica a sua figlia per farle sapere chi è e chi era suo padre, per lasciarle una traccia di sé.

Ciao a tutti readers, oggi non vedevo l’ora di parlarvi di questo libro che ho appena finito. “Lo ammetto ho tentato di essere felice” scritto dall’attore di teatro e di cinema Gianluca Brundo, che ho avuto il piacere di incontrare al Deruta Book Fest (Ringrazio ancora vivamente il mio editore per avermi dato la possibilità di partecipare a questo evento), non è un romanzo, né un’autobiografia dell’autore né tanto meno vuole essere un libro che insegna come si vive. Egli mostra semplicemente al lettore quella che è stata la sua esistenza, come ha deciso di viverla e quali sono stati i Maestri che hanno fatto di lui l’uomo che è oggi.

Gianluca Brundo nel libro si definisce un ribelle, ma un ribelle senza strepito, un ribelle senza guerra, un ribelle della conoscenza. Una persona che vive di passione e che sa che non potrebbe vivere altrimenti. Ci dice che ha imparato il tempo dell’attesa e la pazienza e che molto spesso un atto di gentilezza può essere un vero e proprio atto di rivoluzione.

Con una scrittura fresca alternata da poesie, parti dei suoi lavori teatrali e con l’aiuto delle opere degli autori che sono stati per lui un punto di riferimento nella vita ci delinea il suo cammino che ha avuto come obiettivo quello di tentare di essere felice.

Lo fa, come dicevo, senza la presunzione di insegnarci nulla, ma nonostante ciò le sue parole non possono non toccarci. È una di quelle letture che ti rimane dentro, attaccata addosso e che silenziosamente si fa strada nell’anima. Era il libro di cui avevo proprio bisogno in questo momento.

A volte capita nella vita che arrivi una di quelle letture che ti salva perfino da te stesso, e che arrivi proprio nel momento in cui se ne ha più bisogno; ed è ciò che è stata questa lettura per me.

Non dico che abbia risolto i miei problemi o i miei dubbi o che possa risolvere quelli di qualunque altra persona che avrà il piacere di leggere questo libro e di sicuro non pretende di farlo; ciononostante mi ha dato modo di riflettere. Mi sono rispecchiata in alcuni suoi modi di vivere che sono un po’ simili ai miei, ma dall’altra parte ha generato in me nuovi interrogativi su quale potrà essere il percorso che mi condurrà non tanto ad essere felice, ma almeno a tentare di esserlo, perché come dice lo stesso Brundo non c’è una ricetta per la felicità; essa è un’attitudine e come tutte le attitudini si può rafforzare e sviluppare e ognuno ha il suo percorso per farlo.

“Sono un essere imperfetto. Sono nato imperfetto. Morirò imperfetto. Lo so. Forse un po’ meno imperfetto, ma pur sempre imperfetto. Però, lo ammetto, ho tentato di essere felice.”

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