Recensione: L’appello di Alessandro D’avenia

Recensione: L’appello di Alessandro D’avenia

Scheda tecnica

L’appello

Autore: Alessandro D’avenia
Genere: Narrativa italiana
Editore: Mondadori
Data di uscita: 03/11/2020
Formato: Cartaceo
Anno pubblicazione: 2020
Pagine: 348

Acquista: Libro  | Ebook   

Trama

E se l’appello non fosse un semplice elenco? Se pronunciare un nome significasse far esistere un po’ di più chi lo porta? Allora la risposta “presente!” conterrebbe il segreto per un’adesione coraggiosa alla vita. Questa è la scuola che Omero Romeo sogna. Quarantacinque anni, gli occhiali da sole sempre sul naso, Omero viene chiamato come supplente di Scienze in una classe che affronterà gli esami di maturità. Una classe-ghetto, in cui sono stati confinati i casi disperati della scuola. La sfida sembra impossibile per lui, che è diventato cieco e non sa se sarà mai più capace di insegnare, e forse persino di vivere. Non potendo vedere i volti degli alunni, inventa un nuovo modo di fare l’appello, convinto che per salvare il mondo occorra salvare ogni nome, anche se a portarlo sono una ragazza che nasconde una ferita inconfessabile, un rapper che vive in una casa famiglia, un nerd che entra in contatto con gli altri solo da dietro uno schermo, una figlia abbandonata, un aspirante pugile che sogna di diventare come Rocky… Nessuno li vedeva, eppure il professore che non ci vede ce la fa. A dieci anni dalla rivelazione di “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, Alessandro D’Avenia torna a raccontare la scuola come solo chi ci vive dentro può fare. E nella vicenda di Omero e dei suoi ragazzi distilla l’essenza del rapporto tra maestro e discepolo, una relazione dinamica in cui entrambi insegnano e imparano, disponibili a mettersi in gioco e a guardare il mondo con occhi nuovi. È l’inizio di una rivoluzione? L’Appello è un romanzo dirompente che, attingendo a forme letterarie e linguaggi diversi – dalla rappresentazione scenica alla meditazione filosofica, dal diario all’allegoria politico-sociale e alla storia di formazione -, racconta di una classe che da accozzaglia di strumenti isolati diventa un’orchestra diretta da un maestro cieco. Proprio lui, costretto ad accogliere le voci stonate del mondo, scoprirà che sono tutte legate da un unico respiro.

Ciao a tutti mie cari lettori, eccomi di nuovo qui con la prima recensione di questo 2022 e voglio iniziare proprio con un libro che ho letto a cavallo tra la fine del vecchio anno e l’inizio del nuovo. Sto parlando dell’Appello di Alessandro D’avenia.

Per me è il primo libro che leggo di quest’autore anche se lo conoscevo già, sono stata anche ad una sua conferenza anni fa a Bologna quando ancora frequentavo l’università e sebbene mi fosse piaciuto molto ascoltarlo fino ad ora non avevo trovato l’ispirazione per iniziare a leggere i suoi libri. Inizialmente volevo cominciare con l’arte di essere fragili (libro che sicuramente comprerò prima o poi), ma ho sempre tergiversato non so perché. Poi è uscito questo libro e già dalla trama me ne sono innamorata!

Omero Romeo, professore di quarantacinque anni, cieco è chiamato come supplente ad insegnare ad una classe “difficile” o perlomeno è questo il modo in cui sin da subito vengono definiti i ragazzi.
Eppure lui nonostante la sua condizione, anzi forse proprio a causa di questa, riesce a coinvolgerli non solo nelle sue lezioni, ma nella vita. Attua così una rivoluzione, che passerà dai ragazzi a tutta la scuola e poi a tutte le scuole del paese e ci riesce semplicemente facendo l’appello, un appello un particolare dove il nome che contraddistingue i ragazzi è elemento fondamentale perché li definisce, ma non è l’unico.

Attraverso il suo romanzo e il suo protagonista sicuramente sopra le righe, D’avenia ci ricorda cosa è veramente importante nella scuola: i ragazzi, sono loro il fulcro di tutto con le loro storie, i loro dolori, le loro gioie, il loro esserci, il loro nome.
Il voler essere visti e ascoltati nella loro interezza perché non c’è insegnamento o nozione che può essere tramandata senza relazione, relazione che può partire solo dal prendere coscienza della presenza di questi ragazzi.

D’avenia ci racconta quindi delle storie, storie di ragazzi che potrebbero essere le storie di chiunque e ce le racconta attraverso le parole di questo professore cieco, con un linguaggio che riesce ad entrarti nell’anima tanto da rendere il romanzo una lettura di un’intensità tale che spesso ho faticato a trattenere le lacrime.

Non è importante imparare a morire, quello ce lo impone la natura. Potremmo invece imparare a vivere.
L’appello

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Una settimana da docente…

Una settimana da docente…

Ciao a tutti mie cari amici lettori, quest’oggi non vi porto una recensione, ma una nuova rubrica che nell’idea nasceva semplicemente come singolo post su Instagram di un’esperienza recente, che però si è subito trasformato in qualcosa di più, per cui eccomi qui…

La settimana scorsa ho ottenuto il mio primo incarico come docente, è stata un’esperienza breve ma decisamente intensa che mi ha dato modo di riflettere.
In questi quattro anni post laurea mi sono ritrovata in una situazione di stallo, con le idee un po’ confuse: sapevo che volevo fare la scrittrice, e sì due libri li ho pubblicati e ho vinto anche un concorso per racconti, ma la strada per farlo diventare un lavoro è tutta in salita (come la maggior parte delle cose del resto!)

Non so se mai riuscirò a realizzare questo mio progetto, eh sì perché a questo punto non si tratta più di un sogno, ma di un progetto di vita e per il momento l’unica cosa che mi resta da fare per saperlo è continuare a scrivere e a tentare. Ciononostante, sono sempre stata una persona razionale e per certi aspetti pratica, sapevo che mi sarebbe occorso un piano B, un qualcosa di più “concreto” diciamo, ma l’insegnamento? Non ne ero molto convinta a dire il vero, ho sempre sostenuto di non voler fare l’insegnante, ma si sa si cresce e la vita ti cambia le carte in tavola e ti mette davanti a delle scelte, e io di scelte ne ho fatte: come quella di prendere una facoltà in Lettere moderne e sì sa che uno degli sbocchi lavorativi di quella facoltà è proprio l’insegnamento.

Certo non per forza bisogna andare ad insegnare ovviamente! Io, però, per un motivo o per l’altro una porta aperta a questa strada l’ho sempre lasciata. Eppure ero spaventata! Eh sì, mi sentivo inadatta a questo ruolo (in realtà mi sarei sentita inadatta anche con altri lavori, eh lo so ho un mucchio di fisse, ma ormai è così e non mi resta che conviverci!😩).

Per me l’insegnamento è qualcosa che devi fare con il cuore, non puoi semplicemente metterti lì e condividere nozioni. Oh certamente c’è un programma, ma la differenza sta in come lo svolgi quel programma, e come i ragazzi apprendono quello che tu gli dici. La scuola per me è stato sempre un luogo importate, non mi fraintendete l’ho anche odiata, molto spesso non avevo voglia di studiare, ma ho sempre percepito l’importanza dell’istruzione e mi ci sono impegnata.

Ma passare dall’altra parte della barricata? Beh non è stata una scelta facile! Specialmente per l’idea che mi ero fatta di come avrebbe dovuto essere un insegnante secondo me. Eppure eccomi qui alla fine della prima supplenza, già con la nostalgia di essere di nuovo in classe e voi mi direte, ma così? Cinque giorni e ha già capito tutto? No, non l’ho fatto. In cinque giorni non posso aver capito quello che non ho capito in questi quattro anni di stallo, ma il tunnel oscuro in cui mi trovavo si è fatto un po’ più chiaro e ho intravisto l’uscita e finalmente qualcosa l’ho capita stando in classe: primo, devo togliermi questa fissa dell’insegnante perfetto (di perfetto non c’è nulla a questo mondo), secondo quello che devo fare è quello che generalmente cerco di fare sempre, ossia dare il meglio di me e metterci il cuore ❤️.

E se con l’insegnamento non è stato amore a prima vista di sicuro la scintilla è scattata! 🥰

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