Recensione: “Fiori sopra l’inferno” di Ilaria Tuti

Recensione: “Fiori sopra l’inferno” di Ilaria Tuti

Buongiorno miei cari amici lettori, in questi giorni sto cercando di recuperare le varie recensioni arretrate che ho già scritto ma che ancora non so riuscita a pubblicare, per cui usciranno articoli più di frequente e proprio per questo eccomi qui con la recensione del libro di Ilaria Tuti, Fiori sopra l’inferno. Buona lettura!

Scheda tecnica

Fiori sopra l’inferno

Autore: Ilaria Tuti
Genere: Thriller
Editore: Longanesi
Data di uscita: 04/01/2018
Formato: Cartaceo
Anno pubblicazione: 2018
Pagine: 372

Acquista: Libro   | Ebook   

Trama

«Tra i boschi e le pareti rocciose a strapiombo, giù nell’orrido che conduce al torrente, tra le pozze d’acqua smeraldo che profuma di ghiaccio, qualcosa si nasconde. Me lo dicono le tracce di sangue, me lo dice l’esperienza: è successo, ma potrebbe risuccedere. Questo è solo l’inizio. Qualcosa di sconvolgente è accaduto, tra queste montagne. Qualcosa che richiede tutta la mia abilità investigativa. Sono un commissario di polizia specializzato in profiling e ogni giorno cammino sopra l’inferno. Non è la pistola, non è la divisa: è la mia mente la vera arma. Ma proprio lei mi sta tradendo. Non il corpo acciaccato dall’età che avanza, non il mio cuore tormentato. La mia lucidità è a rischio, e questo significa che lo è anche l’indagine. Mi chiamo Teresa Battaglia, ho un segreto che non oso confessare nemmeno a me stessa, e per la prima volta nella vita ho paura.»

Nel 2018 Ilaria Tuti, autrice di origini friulane, esordiva con il romanzo Fiori sopra l’inferno, un thriller che dalla sua pubblicazione ha appassionato moltissimi lettori.

L’autrice ci conduce con la sua storia nel ridente paesino di montagna di Travenì, luogo di fantasia che si ispira presumibilmente ai luoghi in cui è cresciuta la Tuti. A fare da sfondo, quindi, una natura selvaggia, incontaminata che deve fare i conti con lo sviluppo turistico della cittadina di Travenì, uno dei settori che porta maggiori entrate economiche al piccolo paesino.

Su questo sfondo si compie l’omicidio che metterà l’intera cittadina e la polizia in allerta e sarà l’innesco che porterà in scena il commissario Teresa Battaglia.

“Ilaria Tuti con Teresa Battaglia non ha creato un semplice personaggio, bensì una persona autentica e tridimensionale. Con la sua protagonista, Ilaria Tuti fa il miglior regalo che uno scrittore possa fare ai suoi lettori: qualcuno a cui affezionarsi.”

Scrive così, Donato Carrisi sul corriere della sera e centra infallibilmente il punto chiave del romanzo, la sua protagonista, Teresa Battaglia, commissario con doti da profiling è quello che davvero non ti aspetti: una donna all’apparenza dalla scorza ruvida che nasconde le sue fragilità più profonde, ma che proprio grazie a queste riesce a “scorgere l’inferno che si spalanca sotto i nostri piedi”.

La narrazione segue quindi le indagini del commissario e dei suoi collaboratori, focalizzandosi soprattutto sull’ ispettore Massimo Marini, new entry del commissariato che creerà una dicotomia perfetta con la protagonista. È soprattutto attraverso i suoi occhi che scorgiamo le sfumature del carattere del commissario Battaglia. I due si completano come molte delle migliori coppie di detective, nonostante l’inizio non proprio radioso.

Attraverso i personaggi e le bellissime descrizioni del paesaggio che sembra diventare personaggio esso stesso, ci immergiamo sulle tracce di un assassino e in una storia che è diversa da quello che può sembrare, in cui quello che all’apparenza sembra perfetto nasconde in realtà la ruggine celata sotto portando la nostra protagonista ad incappare in una storia iniziata molti anni prima, come capiamo dai continui rimandi al passato che l’autrice pone davanti ai lettori nell’alternanza dei capitoli.

Un romanzo che si legge tutto d’un fiato, senza battute d’arresto e che coinvolge il lettore dalla prima all’ultima frase.

Si sfugge da ciò che ci spaventa e ferisce, o vuole farci prigionieri, pensò.

– Fiori sopra l’inferno –

L’autrice: Ilaria Tuti

1976, Gemona del Friuli

Ilaria Tuti è nata a Gemona del Friuli, in provincia di Udine. Ha studiato Economia. Appassionata di pittura, nel tempo libero ha fatto l’illustratrice per una piccola casa editrice. Nel 2014 ha vinto il Premio Gran Giallo Città di Cattolica. Il thriller Fiori sopra l’inferno, edito da Longanesi nel 2018, è il suo libro d’esordio. Tra i suoi libri ricordiamo anche: Ninfa dormiente (Longanesi, 2019) e Fiore di roccia (Longanesi, 2020). Del 2021 il romanzo La luce della notte, il ritorno dell’amatissima Teresa Battaglia in un romanzo di rinascita e speranza. Sempre per Longanesi pubblica nel 2021, Figlia della cenere e nel 2022, Come vento cucito alla terra.

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Recensione: “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello

Recensione: “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello

Uno, nessuno e centomila

Autore: Luigi Pirandello
Genere: Narrativa italiana classica
Editore: Newton Compton collana “I mammut”
Data di uscita: Novembre 2011
Formato: Cartaceo
Anno pubblicazione: 1926

Acquista: Libro Ebook

Trama

Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente”. Ha inizio così l’odissea di Vitangelo Moscarda, quando un commento distratto della moglie lo inchioda a una tremenda verità: gli altri ci vedono in modo diverso da come ci vediamo noi stessi. La sua vicenda è lo specchio della crisi dell’io, tra prospettive che mutano e punti di riferimento che si perdono. Tra gli esiti più nuovi della letteratura del Novecento, l’ultimo romanzo di Pirandello è la storia di un “naufragio dell’esistenza”: in seguito al cortocircuito iniziale, il protagonista arriva ad accettare l’incompletezza di sé attraverso la via della rinuncia e della solitudine, fino all’abbandono definitivo di ogni coesione interna, fino alla follia. Come ebbe a dire l’autore stesso, dei suoi romanzi “Uno, nessuno e centomila” è il “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”.

Eccoci di nuovo qui, cari lettori! Quest’oggi voglio parlarvi del romanzo Uno, nessuno e centomila, che non è solo l’ultimo romanzo scritto da Pirandello, ma anche l’ultima tappa nel mio viaggio tra i romanzi di questo autore. Sono arrivata così all’ultimo atto e devo ammettere che un po’ mi dispiace: ho amato tantissimo Pirandello e le sue opere e certo potrei continuare ad intrattenermi con lui leggendo le sue novelle e le sue opere teatrali, tra l’altro alcune le ho già lette, ma devo ammettere che io sono più un tipo da romanzo per cui per il momento ho deciso di fermarmi qua.

Posso comunque dire che con questo romanzo chiudo davvero in bellezza, perché è stata una lettura sorprendente; un vero e proprio capolavoro! Il climax perfetto per il mio viaggio tra i suoi romanzi iniziato con L’esclusa.

In questo suo ultimo lavoro tramite il monologo del nostro protagonista Vitangelo Moscarda, Pirandello ci porta in un’esperienza dove la destrutturazione della realtà e del personaggio la fanno da padrona.

Non c’è più lo sdoppiamento che ritroviamo nel Il fu Matia Pascal, ma una suddivisione ancora più estesa che prende le mosse da come l’altro ci vede e come noi ci vediamo. Il motore iniziale, infatti, è proprio la moglie che fa notare al nostro Vitangelo che il suo naso pende un po’ a destra. Dettaglio apparente insignificante si potrebbe dire, ma che genera tutta una serie di interrogativi.

È l’inizio della scomposizione e al contempo dell’annullamento del personaggio, perché se per gli altri io sono diverso da come mi immagino, e notano dettagli in me che non pensavo di avere, allora chi sono io?

Sono quello che pensavo di essere o sono l’immagine che gli altri hanno di me? Ma io posso effettivamente vedermi? Da qui la supposizione del nostro personaggio che ci informa che è impossibile vedersi vivere.

Un testo con un linguaggio narrativo sublime che ci porta in un loop di interrogativi che ci impongono di dover riflettere fino a generare in noi la crisi di tutto ciò che è reale e che ci circonda.

In tutto questo aleggia come un’ombra sempre presente il tema della pazzia, elemento prettamente autobiografico in quanto l’autore ne viene a contatto per via della moglie che è costretta al ricovero proprio a causa di una malattia psichica.

“No, sa: non sta lì. Sta qui, Monsignore. Quel pazzo che vuole volare sono io.”

Con questo suo racconto Pirandello è arrivato al culmine della sua teoria umoristica e lo ha fatto portando alla luce “un romanzo, dunque, da morte del romanzo” come lo ha descritto Sergio Campailla nella prefazione al libro.

Un libro insomma da leggere e rileggere che non passerà mai di moda e che come altri capolavori travalica il concetto di tempo.

“Non già, badiamo, ch’io opponessi volontà a prendere la via per cui mio padre m’incamminava. tutte le prendevo. Ma camminarci, non ci camminavo. Mi fermavo a ogni passo; mi mettevo prima alla lontana, poi sempre più da vicino a girare attorno a ogni sassolino che incontravo, e mi meravigliavo assai che gli altri potessero passarmi avanti senza fare alcun caso di quel sassolino che per me intanto aveva assunto le proporzioni d’una montagna insormontabile, anzi d’un mondo in cui avrei potuto senz’altro domiciliarmi.
Ero rimasto così, fermo ai primi passi di tante vie, con lo spirito pieno di mondi, o di sassolini, che fa lo stesso. Ma non mi pareva affatto che quelli che m’erano passati avanti e avevano percorso tutta la vita, ne sapessero in sostanza più di me. M’erano passati avanti, non si mette in dubbio, e tutti braveggiando come tanti cavallini; ma poi, in fondo alla via, avevano trovato un carro: il loro carro; vi erano stati attaccati con molta pazienza, e ora se lo tiravano dietro. Non tiravo nessun carro, io; e non avevo perciò né briglie né paraocchi; vedevo certamente più di loro; ma andare, non sapevo dove andare.”
– Uno, nessuno e centomila –

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