Buon pomeriggio readers! Eccomi qua anche se con un po’ di ritardo per parlare della mia ultima lettura: “La moglie olandese” di Ellen Keith. Libro che mi è piaciuto molto, ma entriamo più nel dettaglio…

La storia è ambientata in due momenti storici differenti:

1943, Olanda. Gli anni della seconda guerra mondiale. La protagonista e suo marito vengono arrestati come prigionieri politici e portati in due diversi campi di concentramento. Marijke farà di tutto per ritrovare il marito, anche unirsi al bordello del campo dove quest’ultimo si trova rinchiuso.

1977, Argentina. Gli anni della “guerra sporca”. Il regime argentino all’epoca tentava di sopprimere ogni forma di dissidenza. Luciano Wagner, studente universitario, viene catturato e messo in prigione per essersi unito ad un movimento rivoluzionario. Rinchiuso in cella subisce le torture più atroci e non sa se riuscirà mai ad uscire da lì e rivedere ancora la sua famiglia.

Due momenti tragici della storia; dalla Germania della seconda guerra mondiale all’Argentina degli anni ’70. Periodi storici diversi, ma con un sottile filo conduttore messo ben in risalto dall’autrice.

È stata una lettura coinvolgente. L’autrice è riuscita a catapultarmi in due eventi storici che poco conoscevo, da una parte la costituzione dei bordelli nei campi di concentramento e dall’altra quello della “guerra sporca” in Argentina. Sono entrata immediatamente in empatia con la protagonista Marijke, soprattutto per la scelta narrativa della scrittrice che ha deciso di utilizzare la prima persona per narrare la storia della protagonista. Mi sono ritrovata a soffrire con lei, ad avere i suoi dubbi mentre cercava di reagire a tutto quello che le stava accadendo, soprattutto quando si è trovata a decidere se entrare o meno nel bordello del campo o rimanere ai lavori forzati nel suo campo di concentramento. Ho sentito la sua forza e la sua debolezza ad ogni passo che ha compiuto.

Con Marijke, l’autrice ha tentato di dare voce a tutte quelle donne che sono state costrette a “lavorare” nei bordelli dei campi e alla forza che hanno avuto ad affrontare tale situazione.

Sebbene narrata in terza persona anche la storia di Luciano, rinchiuso nella prigione in Argentina mi ha toccato profondamente, specialmente quando per non impazzire inizia a “scrivere” mentalmente delle lettere al padre. In quelle parole vediamo il suo dolore, la sua sofferenza e si entra proprio in contatto con il protagonista e con il suo io più profondo.

L’autrice con una scrittura brillante è riuscita benissimo a collegare questi due eventi storici e lo ha fatto con tale intensità che il libro scorre molto bene nella lettura e si fa fatica a staccarsi dalle pagine, proprio per la curiosità di sapere come va a finire.

Senza fare spoiler posso dire che anche il finale del libro mi ha toccato particolarmente, soprattutto perché mi ha lasciato con qualche domanda aperta e qualche altra curiosità che mi ha fatto restare ancora per qualche giorno ancorata alla storia e ai personaggi anche dopo aver chiuso l’ultima pagina.

È decisamente una lettura che consiglio! A me è piaciuta molto e mi ha incuriosito abbastanza da voler trovare altre letture che trattano questi eventi.

“Caro papà,
quella musica. La musica mi tormenta. L’opera. Il pianoforte e… cos’erano?
Flauti. Caro papà, il pianoforte e i flauti non smettono di suonare, ma io penso solo a ciò che provano a coprire. Le implorazione, le grida. Grida insopportabili. Non ne posso più. È così, è così… Papà, in qualche modo, la musica mi fa pensare a te.”

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